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Teatro

In un lungo articolo, pubblicato su Repubblica il 24 febbraio 2009, Alessandro Baricco riflette sulla situazione attuale riguardo ai fondi pubblici destinati alla cultura. Egli afferma che gli interventi statali per salvare varie realtà culturali, soprattutto il teatro di prosa e il teatro d’opera, sono dannosi per il paese e sprecati. Lo scrittore propone quindi di utilizzare tali fondi su due direzioni principali: la televisione e la scuola. Coerentemente Baricco afferma che è inutile salvare l’opera se a scuola non si insegna la storia della musica. I fondi per la televisione andrebbero a finire nella ricerca di una tv culturale: in grado di passare conoscenza, rispetto e valori allo spettatore. La scuola, invece, sarebbe proprio il trampolino di (ri)lancio della situazione. Se bisogna trasmettere qualcosa ad una persona, è molto più facile farlo finché questa è giovane.

L’idea di fondo di Baricco è giusta: diventa quasi ridicolo cercare di salvare enti culturali, spesso messi in ginocchio da sprechi e mancanza cronica di pubblico. Deviando i fondi sulla scuola è possibile creare un futuro pubblico, interessato alla materia, per tali spettacoli. Ma la strada è lunga e dura. Riguardo alla televisione, si può affermare con certezza che le possibilità di creazione di programmi realmente culturali sono veramente ridotte, anche con fondi aggiuntivi. Questo finchè esistera una certezza chiamata Auditel e frotte di dirigenti televisivi pronti a chinarsi ad essa.

Lo scorso 3 marzo, il blogger Massimo Mantellini ha risposto allo scrittore torinese dalle pagine web de La Stampa con un articolo molto interessante. Commentando l’articolo di Baricco, Mantellini critica l’assenza di Internet come “luogo moderno ed attuale della crescita culturale del paese”. A parere del blogger l’assenza è dovuta ad una totale ignoranza dell’elite culturale del paese riguardo al mezzo, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti pedagogici e culturali. Anzi spesso le elite sono spaventate da Internet e cercano di controllarlo, con legislazioni restrittive, contrarie alle direzioni prese dai partner europei. Mantellini inoltre fa notare come l’alfabetizzazione informatica italiana sia (in Europa) pari a Portogallo e Bulgaria e largamente inferiore alle grandi potenze.

Quello che molti si chiederanno è come fare a destinare soldi pubblici a internet, data la sua natura. Personalmente penso che la soluzione sia non aiutare, il mezzo in se, ma incentivare l’accesso al mezzo. Fornire una copertura di banda larga a tutta la popolazione, erogare incentivi per l’acquisto di pc per studenti e anziani. Ma soprattutto insegnare l’informatica, e un corretto utilizzo della rete agli studenti, ma soprattutto agli insegnanti, perché sono loro i primi a dover capire l’importanza del mezzo e saperla sfruttare.

Il futuro non è lontanto, è solo offuscato.

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E’ da un po’ che intendo scrivere questo post, ma le richieste di informazioni che mi sono giunte nelle ultime settimante mi hanno finalmente convinto. Quella che segue è una visione personale del corso di laurea di Ingegneria del cinema e dei mezzi di comunicazione del Politecnico di Torino. Ma è comunqua una visione dall’interno, e sono molti gli interessati ad averla.

Io sono entrato a Ingegneria del cinema nel 2005, era il terzo anno di esistenza del corso di laurea. Eravamo delle cavie, ma meno di quelli arrivati prima di noi. Siamo entrati in poco meno di 60, ma a marzo eravamo già in 40. Molta gente, delusa da aspettative sbagliate, aveva mollato il corso. Penso che nessuno si aspettasse esattamente un corso come quello venuto fuori. Questo perché la pubblicità fatta all’inizio per questo corso era totalmente deviante. Si parlava veramente di fare cinema, incontrare registi e specialisti del campo. Fortunatamente io non ero venuto per fare cinema. Perché non si fa. Sfatiamo un mito: si fa solo un esame sul cinema, in altri esami si fa qualche accenno. Se volete fare cinema andate al DAMS.

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