Riprendendo il discorso iniziato nel post precedente, il 5 marzo Repubblica ha pubblicato una lettera del Ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi. In tale lettera, Bondi si rifà a quanto affermato da Baricco, riguardante la necessitò di utilizzare televisione e scuola come mezzi per far rinascere la cultura italiana. Riconoscendo l’importantissimo ruolo della TV, e sospinto dal modello applicato da Sarkozy in Francia, Bondi propone di svincolare una rete pubblica RAI dal sistema Auditel, e di conseguenza dalla pubblicità. Questo per creare nella rete un vero servizio pubblico, una rete in cui i programmi non scadano nella volgarità, nella stupidità e nella superficialità. “Una rete svincolata dall’auditel permetterebbe quindi di sperimentare nuovi linguaggi e nuovi format “, afferma il ministro, dimostrandosi aperto a nuovi modelli di intrattenimento.
Le risposte del consiglio d’amministrazione della RAI non si sono fatte attendere, e tutte sono negative. Giovanna Bianchi Clerici afferma che l’avvento del digitale terrestre offrirà molti nuovi canali tematici, e che quindi il problema non si pone. Inoltre sottolinea come il mancato incasso di pubblicità rischi “di fare un favore a Mediaset, Sky e al web”. Nino Rizzo Nervo afferma che la proposta deve essere vagliata dal parlamento, affermando che la situazione creerebbe squilibri sul mercato pubblicitario attuale. Il direttore di RaiTre Ruffini bolla la proposta come rischi: “Cosa farebbero le altre reti Rai? Una tv commerciale?”.
Personalmente ritengo la proposta di Bondi molto sensata, sopratutto per quanto riguarda il distacco da Auditel, il vero colpevole del degrado qualitativo della televisione italiana. Una televisione di qualità, con programmi non necessariamente inneggianti alla cultura, ma intelligenti e non superficiali. La critica più seria che ho sentita è quella riguardante la varietà offerta dal digitale terrestre: è vero, la RAI possiede molti canali tematici sulla nuova piattaforma, ma il problema è che essi sono troppo dispersivi e sotto-sovvenzionati. Un canale culturale realizzato con il 70% dei fondi attualmente stanziati anche solo per RaiTre riuscirebbe a produrre un palinsesto degno di nota, molto più dei mille canali tematici solitari.
Riguardo al fattore pubblicità, si apre una nota dolente: effettivamente diminuendo gli introiti pubblicitari della TV pubblica si creerebbero problemi di budget e squilibri nel mercato. Secondo me si potrebbe affettuare un aumento del canone per ovviare ai mancati incassi (io lo pagherei volentieri per un servizio migliore). Riguardo invece agli squilibri si rischia di favorire Mediaset, è vero, però è sbagliato pensare che si bisogni rivedere i tetti di affollamento pubblicitario (tra l’alto già molto elevati). Se i tetti rimangono elevati, i listini delle concessionarie aumenteranno di sicuro (legge domanda-offerta). Il che non è grave: diminuirebbero gli inserzionisti televisivi per deviare finalmente investimenti sul web, o su mezzi in crisi come la stampa.
Che Bondi abbia smesso di fare l’ombra di Silvio per mettersi a pensare con la propria testa?
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